| PROFESSOR IACOPINO Il concilio tenutosi a Nicea nel 325 costituisce il primo concilio ecumenico della cristianità ancora indivisa.
Esso fu convocato dall’imperatore Costantino che da questo momento in poi sarà riconosciuto come la
massima autorità religiosa, rivestito di un alone di sacralità che lo porterà ad essere considerato isapóstolos
(uguale agli apostoli) e quindi vicario di Dio in terra e, successivamente, dalla Chiesa orientale sarà elevato,
insieme alla madre Elena, agli onori degli altari. Il concilio oltre che riconoscere il Cristo della stessa natura
divina del Padre (homooùsion to Patrì) stabilì diversi canoni sui quali ci soffermeremo, come per esempio
quello riguardante la data della Pasqua da festeggiarsi la prima domenica dopo il plenilunio successivo
all’equinozio di primavera, e quello riguardante la proibizione di inginocchiarsi nelle domeniche e nel
periodo pentecostale. Particolare importanza riveste il credo niceno che nel nostro studio sarà affiancato
dal cosiddetto credo athanasiano, quest’ultimo particolarmente presente nella tradizione liturgica bizantina
dell’Italia Meridionale. Il concilio sarà considerato come il prototipo dell’ortodossia a tale punto che il
riferimento ai 318 santi Padri sarà sinonimo di indiscussa e retta fede, come emerge dall’anatematismo
lanciato dallo skevofikax Coluccio Garino nei confronti del vescovo che soppresse nell’eparchia bovese il
rito greco a favore di quello latino.
Bibliografia: H. Pietras, Concilio di Nicea (325) nel suo contesto, Pontificia Università Gregoriana, Roma
2021; R. Iacopino, Il Tipikon della Cattedrale di Bova, If-Press, Roma 2014.
PROFESSOR GENOVESE
I canoni del Concilio di Nicea
Il Concilio di Nicea produsse, oltre alla Formula di Fede, anche 20 canoni (tali sono quelli ritenuti autentici)
e un decreto riguardo alla data della Pasqua, che estendeva a tutti i cristiani l’uso delle chiese di Roma e di
Alessandria, indipendenti dal computo ebraico della Pasqua. I canoni trattano di questioni disparate, da
problemi di governo del clero a provvedimenti da prendere nei confronti di scismatici ed eretici, a norme
per gli ecclesiastici o per i laici, a prescrizioni liturgiche. Se anche prima di Nicea dei concili locali avevano
prodotto dei canoni, con questo Concilio è la prima volta che la normativa relativa al governo e alla
disciplina assume un valore universale. Dato il riconoscimento giuridico del Concilio da parte
dell’Imperatore, le decisioni conciliari assurgono allo stesso valore delle leggi imperiali.
Il canone 1 vieta l’ammissione nel clero per quanti, secondo una prassi in voga all’epoca, si erano
volontariamente resi eunuchi; norme per il reclutamento nel clero vengono stabilite anche dal c. 2, che non
ammette alla promozione episcopale o sacerdotale coloro che sono appena stati battezzati e venuti alla
fede da una vita pagana; il c. 9 rigetta dal clero coloro i quali vi siano stati ammessi senza sostenere un
esame o, durante l’esame, abbiano ammesso delle colpe; il c. 10 propone la deposizione per quanti abbiano
abiurato la fede in tempo di persecuzione e poi siano entrati nel clero; il c. 4 fissa nel numero di 3 i vescovi
necessari per un’ordinazione episcopale; il c. 6 rende imprescindibile il consenso del metropolita nella
nomina di un vescovo.
Una serie di canoni impone norme atte a salvaguardare l’irreprensibilità della condotta del clero: il
c. 3 proibisce alle donne di convivere con i chierici, a meno che esse non siano persone al di sopra di ogni
sospetto, ossia delle parenti: non si tratta dell’imposizione del celibato per i chierici, ma di una norma
mirante a impedire scandalose forme di coabitazione evidentemente diffuse all’epoca; i cc. 15 e 16 tentano
di porre un freno alla crescente mobilità del clero, che si trasferisce con disinvoltura da una chiesa all’altra,
ribadendo che i chierici appartengono alle chiese nelle quali sono stati ordinati; il c. 17 condanna alla
deposizione i chierici colpevoli di praticare usura; il c. 18 rimprovera come contraria alla gerarchia ecclesiastica l’usanza, in atto in alcune chiese locali, secondo la quale i diaconi darebbero la comunione ai
presbiteri e riceverebbero l’eucaristia addirittura prima dei vescovi.
Un’importante serie di canoni si occupa delle strutture della Chiesa, precisando le funzioni degli
organi locali e delimitando le giurisdizioni regionali. Il c. 4 e il c. 6 conferiscono al metropolita l’autorità di
confermare ogni consacrazione episcopale, determinando di fatto la supremazia delle sedi metropolitane di
Roma, Alessandria e Antiochia; il c. 5 stabilisce la necessità di due concili provinciali all’anno; il c. 7 fissa i
privilegi della sede di Gerusalemme. Riguardo alla disciplina penitenziale, poi, una serie di canoni cerca di
regolare la situazione del lapsi (cc. 10, 11, 14), nonché la riammissione degli eretici (cc. 8 e 19), quindi
l’atteggiamento da tenersi con i moribondi (c. 13). L’ultimo canone vieta di inginocchiarsi la domenica.
PROFESSOR GRONCHI
IL SINODO DI ANTIOCHIA E LA FEDE CRISTOLOGICA DI NICEA
Tra i più immediati antecedenti del concilio di Nicea, riveste una particolare importanza il sinodo di
Antiochia (324/325), forse presieduto da Osio di Cordova, alla presenza di 56 vescovi di Palestina,
Arabia, Fenicia, Celesiria e Cappadocia. A seguito di questa riunione, venne diffusa una lettera
sinodale contenente il simbolo di fede antiariano, che potrebbe aver ispirato quello del concilio
niceno. Attraverso uno stile tortuoso, vengono ripresi i temi origeniani dell’identità ontologica del
Figlio divino e della sua generazione atemporale dal Padre, ammettendone la misteriosità, con
riferimento all’intima relazione tra Padre e Figlio (cfr. Mt 11,27). Sulla linea teologica di Alessandro,
si contestano apertamente i tre temi di Ario contenuti nella Thalia: il Figlio è creatura, non è eterno,
non è immutabile.
«[…] in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio unigenito, nato non dal nulla, ma dal Padre, non come una cosa
fatta, ma propriamente come entità generata; generato, invece, in modo ineffabile e inesprimibile, poiché il
Padre solo, che ha generato, e il Figlio, che è stato generato, conosce il modo. “Nessuno, infatti, conosce il
Padre se non il Figlio o il Figlio se non il Padre” [Mt 11,27; cfr. Lc 10,22]. (Figlio) che esiste da sempre e non
era prima non esistente. […]
le Scritture affermano il Figlio generato propriamente e realmente, sì che anche noi crediamo che egli è
immutabile e inalterabile […] Anatemizziamo coloro che dicono o credono o proclamano che il Figlio di Dio
è creatura o dotato di inizio (nel tempo) o fatto e non realmente ‘genitura’ oppure che vi fu un tempo quando
egli non era […]».
Come vedremo dal confronto con la professione di fede nicena, vi sono qui anticipati i due temi
maggiori: la generazione eterna del Figlio dal Padre e il suo essere propriamente e realmente sua
immagine. Gli stessi anatematismi conclusivi aprono la strada ad una prassi che sarà mantenuta.
Come giustamente ha osservato J.N.D. Kelly: «per noi la sua straordinaria importanza consiste nel fatto che si tratta del precursore di tutti i credo sinodali». Con ogni probabilità, attraverso questa
elaborazione antiochena, sulla base di un simbolo in circolazione in una comunità locale, prende
forma a Nicea la prima professione di fede di valore universale.
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